Sami Modiano incontra gli studenti dell'I.I.S. Largo Brodolini

- Mai più B 7456 - Prof.ssa L. De Vittorio

- B7456 - Taisia Santonastaso 4^ACM

Venerdì 13 Aprile 2018 - Hotel Enea Pomezia

 

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Mai più B 7456

Un’esperienza irripetibile: questo è stato, per i ragazzi del triennio dell’I.I.S. Largo Brodolini di Pomezia, l’incontro del 13 Aprile con il Sig. Modiano, nella bella sala dell’Hotel Enea, ottenuta grazie all'interesse personale del Preside, Prof. Francesco Cornacchia. 320 ragazzi in silenzio ad ascoltare la storia di un grande uomo, 320 ragazzi attenti come non lo sono mai stati in vita loro.

Sami Modiano ha raccontato la sua esperienza partendo dalla serenità, dall’integrazione di più culture presenti nella sua Rodi negli anni ’30. Poi la Storia irrompe con tutta la sua drammaticità nella sua vita di bambino: il dramma dell’esclusione dalla scuola, la deportazione inaspettata, il viaggio terribile insieme alla sua comunità nell’afoso luglio del ’44; trattati come bestie, ma carichi, nonostante tutto, di quell’umanità e solidarietà così ignota agli aguzzini. L’arrivo ad Auschwitz, la selezione: chi a destra , chi a sinistra; il padre che stringe a sé i suoi figli, picchiato selvaggiamente nel tentativo di non  farsi strappar  via sua figlia. Lucia: quante volte il Sig. Modiano nomina la sua bellissima sorella; quanto amore in quelle parole, nella fetta di pane lanciata alla sorella oltre il filo spinato e che torna indietro subito dopo, nello stesso modo ma duplicata, perché fino all’ultimo la sua Lucia non poteva non proteggere il fratellino.

Quanto dolore quegli occhi hanno visto e più volte Sami chiede ai ragazzi: “Come potrei dimenticare?”

I giovani ascoltano, tutti noi ascoltiamo e, intanto, il cuore si riempie di angoscia, le lacrime scorrono libere. Sami prosegue con il racconto che si fa per lui sempre più doloroso: l’ultimo saluto del padre che lo invita a tenere duro, perché lui, Sami ce la deve fare. Poi è la volta della sorella. Rimane da solo, tra tante migliaia di vite spezzate dal male assoluto, senza più un familiare, senza  l’abbraccio di una persona cara.

E Sami ce l’ha fatta, nonostante la fatica, la fame, i prelievi di sangue effettuati due volte al giorno. Sami ne è venuto fuori perché, anche questo egli ha fatto più volte capire: Dio aveva per lui un disegno. Un disegno che si è concretizzato anche qui stamattina, tra i ragazzi. Perchè raccontare tutto ciò serve a dar voce a quei milioni di uomini, donne, bambini che non ci sono più.

Il tempo scorre velocemente e alla fine i ragazzi vogliono abbracciarlo, parlargli, far sentire il loro calore. E lui è là che abbraccia tutti, che spontaneamente fa mettere sul braccio tatuato, la mano di una ragazza in lacrime. Una piccola mano a coprire il dolore di milioni di persone. A coprire quel numero, ma a serbare per sempre memoria di un uomo che mai nessuno di noi potrà dimenticare ed è soprattutto a loro, ai ragazzi  che è affidato il compito di mantenerne memoria. Perché loro sono il futuro e dovranno fare in modo che, come Sami stesso ha scritto, non ci possa mai più essere nessun numero tatuato su un braccio, mai più  B 7456.

                                                                                                                                                   L. De Vittorio


B7456

Il giorno 13 Aprile 2018 i ragazzi delle classi terze, quarte e quinte si sono recati presso l’hotel Enea di Pomezia per incontrare uno degli ultimi sopravvissuti ai campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau: Samuel Modiano. Da anni ha dedicato la sua vita a portare nelle scuole di tutta Italia la sua testimonianza e ha partecipato più volte al Viaggio della memoria tramite il quale numerosi studenti hanno potuto osservare i luoghi simbolo dell’Olocausto e sentir parlare di Storia da chi, purtroppo, l’ha vissuta sulla propria pelle. Con la sua voce pacata e tranquilla, ma allo stesso tempo ferma ed intrisa di sentimento è riuscito a raccontarci l’esperienza di vita che l’ha segnato nel profondo, ma ogni volta trova la forza di declamarla in modo che ciò che è stato non si possa ripetere.

“I corpi dei morti venivano buttati a mare. I tedeschi ci obbligavano. È stato in quel momento che ho compreso di essere davvero felice che mia madre fosse già morta perché sapevo, per certo, che non sarebbe sopravvissuta al viaggio e non avrei avuto quindi, come invece ho ora, una tomba su cui poter potare dei fiori e su cui piangere”. Questo è uno dei pensieri che Sami ci ha voluto donare e che ha commosso un pubblico in religioso silenzio davanti al racconto di un bambino a cui è stata strappata via un’infanzia solo perché di religione ebraica, come se essere un giudeo fosse una colpa; che ha visto il suo mondo di bravo studente e ragazzo felice e vivace sfumato nel momento in cui è stato espulso dalla scuola, senza un motivo, ma a causa degli eventi della guerra precipitati in modo vertiginoso in una spirale senza fine. Ci parla di una realtà che, bambino, non riusciva a comprendere poiché dominata dalla lingua dell’odio e della discriminazione.

“Una sera decisi di fare un regalo a mia sorella Lucia. Presi i miei 125 gr di pane e mi diressi verso la sezione della donne del lager B. Eravamo separati da due fili spinati e ci parlavamo a gesti. Le feci capire che le stavo per dare una cosa e le lanciai il fagottino. Lei lo prese e mi fece capire che a sua volta aveva un regalo per me e mi rilanciò il fagottino. Lo aprii: c’erano il mio pezzo di pane e il suo. Capii che non l’avrei più rivista”. Tra le lacrime ci parla dell’ultimo istante in cui ha visto la sua bellissima sorella dai lunghi capelli ridotta ad uno scheletro irriconoscibile, rasata, con un pigiama a righe e zoccoli di legno. Era un ragazzo che ha lottato fino alla fine per la promessa fatta a suo padre di sopravvivere, di uscirne vivo; oggi è un uomo il cui racconto di una vita di privazioni ci porta a riflettere sulla fortuna di vivere una vita agiata che noi diamo spesso per scontata. Egli ci racconta dei fantasmi con cui si trova a convivere quotidianamente affinché noi conosciamo e comprendiamo la vita di colui che, svegliato come bambino, la notte si è addormentato come ebreo, perdendo la sua innocenza.

Ci sono immagini che ci restano ben impresse nella mente anche se non ci appartengono, anche se non le abbiamo vissute direttamente, ma rimangono ancorate e ci obbligano a riflettere su una delle pagine più crudeli della Storia. È stato questo il privilegio che Sami ci ha concesso perché in fondo l’uomo è un prodotto di natura che tende a ricadere nei propri errori e per questo bisogna fare memoria affinché quello che è accaduto non accada più.

Al termine del suo racconto Sami ha sentito la necessità di sottolineare come nei campi di concentramento non siano morti solamente 6 milioni di ebrei, le uniche vittime dell’Olocausto che tendiamo a ricordare, ma anche rom, disabili, omosessuali, dissidenti politici. Tutto era iniziato come una forma di discriminazione nei confronti di chi era ritenuto diverso e ciò ha permesso a “qualcuno” di arrogarsi il diritto di sentirsi superiore e di calpestare la libertà e la dignità altrui che veniva a mancare proprio nel momento in cui, varcata la soglia dell’inferno, si diventava dei numeri, del bestiame pronto al macello che, in un modo o nell’altro, sarebbe morto, identificato solo da un tatuaggio marchiato a fuoco, indelebile, che ancora oggi è inciso non solamente sulla pelle, ma anche nell’animo, tormentato da un dolore incolmabile.

Più volte dice Sami: “Come posso dimenticare? Questi occhi non possono, neanche volendo”. Come si fa a cancellare l’istante in cui si è visto ciò che l’uomo è in grado di fare quando l’odio prevale sul rispetto della dignità umana? Chi è sopravvissuto ha in sé una ferita inguaribile, la stessa che ha portato Modiano a chiedersi per quasi una vita: “Perché io? Cosa ho che gli altri non hanno?”. La risposta al tormento interiore l’ha trovata negli ultimi anni quanto ha compreso che Dio, per fare in modo che il passato non fosse dimenticato, ha lasciato in vita lui, un ragazzo scampato alla camera a gas grazie ad un treno di patate da scaricare. Lui ora vede in noi giovani lo scopo della sua esistenza; cioè, fino a quando Dio gli darà la forza, testimoniare gli orrori vissuti in modo che saremo noi a portare avanti il suo grido di speranza: - MAI PIÙ! –

Lo scopo dell’incontro, infatti, era quello di far comprendere a noi ciò che è accaduto in passato. Noi abbiamo il diritto ed il dovere di conoscere. È necessario e nessuno ce lo può negare. Lo stesso Modiano dichiara con convinzione: “Chi nega oggi quello che è successo, sarebbe stato carnefice allora”, un messaggio che vuole gridare anche grazie al suo libro, “Per questo ho vissuto”, che riassume il senso di una esistenza.

Taisia Santonastaso - 4^ACM